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Farmaco antitumorale fa regredire l'Alzheimer
Benessere - Articoli
Scritto da Carmela Pelaia     Lunedì 13 Febbraio 2012 09:10    Stampa E-mail
AlzheimerDagli Usa arriva la notizia che il bexarotene, un noto farmaco antitumorale molto in uso anche in Italia da parecchi anni, è in grado di far regredire il morbo di Alzheimer nei topi aprendo una grande speranza a milioni di persone colpite da questa terribile malattia degenerativa.

Lo studio per ora è stato condotto solo su modelli animali, ma i risultati sono più che soddisfacenti: il farmaco finora usato per curare alcuni tipi di neoplasie si è rivelato in grado di far retrocedere i sintomi dopo un periodo di tre giorni.

farmaco antitumorale fa regredire l'AlzheimerLa malattia di Alzheimer è una sindrome cronica e progressiva che colpisce il 5% della popolazione sopra i 65 anni e rappresenta la causa più comune di demenza negli anziani del mondo occidentale, anche se esistono casi sporadici di persone che possono presentare i sintomi prima dei 50 anni. L'Alzheimer è causato principalmente dall'accumulo di deposito di una proteina tossica, la Beta-amiloide, nel cervello, il bexarotene stimola la produzione di una molecola, la Apolipoproteina E, che disincrosta le placche di Beta-amiloide e tiene pulito il cervello. Secondo lo studio pubblicato su Science dai ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine, il bexarotene non si è dimostrato solo efficace ma anche rapido: somministrandolo ai topolini malati i primi effetti si vedono già dopo 6 ore, mentre dopo 72 ore hanno riacquistato la memoria e comportamenti normali.

I ricercatori dell'Università  di Barkeley (Usa)  hanno condotto invece degli studi sulla prevenzione della malattia, sottoponendo degli anziani a letture e giochi che impegnano la mente ( come il sudoku, le parole crociate, i brain games elettronici) e li hanno poi monitorati con risonanza magnetica al cervello per valutare l'eventuale accumulo della proteina amiloide, scoprendo che coloro che erano stati sottoposti ad una maggiore attività cerebrale ne avevano sviluppato una minore quantità. Susan Landau, una delle firme dello studio, ha spiegato così che "una vita intera trascorsa a impegnarsi in queste attività ha un effetto cruciale nel mantenersi cognitivamente attivi in età avanzata e che  probabilmete la proteina amiloide inizia ad accumularsi nel cervello molti anni prima della comparsa dei sintomi."
 

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