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Abortire, cosa significa secondo un punto di vista scientifico |
Donna - Articoli | |||
Scritto da Maria Rea
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![]() Il termine aborto è legato alla religione, alla salute, all'opinione pubblica, alla legge, alla medicina, all'etica. In Italia continua la polemica sulla legge 194 e gli obiettori di coscienza. L'interruzione di gravidanza però è un diritto che corrisponde ad una pratica medica. Andiamo a vedere in cosa consiste secondo un punto di vista scientifico.
![]() Innanzitutto va fatta una differenza tra aborto farmacologico (o medico) e aborto strumentale (o chirurgico). L’interruzione farmacologica avviene attraverso la somministrazione di farmaci ed è possibile entro i primi 49 giorni (sei settimane e sei giorni) dal concepimento, quindi solo in uno stadio estremamente precoce della gravidanza. Questo perché nel periodo successivo il rischio di non riuscita e di insorgenza di complicazioni sarebbe superiore rispetto all’attesa. La paziente che sceglie di affrontare la via dell'interruzione farmacologica deve essere obbligatoriamente ricoverata per il tempo di trattamento e dopo alcuni accertamenti preliminari assume per bocca una prima pillola. Il suo principio attivo, il mifrepristone o RU486, blocca lo sviluppo embrionale e induce il distacco del feto dall’utero, determinando la fine della gravidanza. Nell’arco di alcune ore viene poi somministrato un secondo farmaco, contenente prostaglandine, he fa contrarre l’utero e consente il suo svuotamento in modo autonomo, senza bisogno di un accesso chirurgico.
L’interruzione farmacologica in Italia è possibile solo a partire dal 10 dicembre 2009. Non trattandosi di una pratica invasiva è generalmente preferibile (sempre nel limite dei 49 giorni) a qualsiasi intervento di tipo strumentale ed è di fatto la più frequente. La scelta del metodo a cui sottoporsi è tuttavia sempre a discrezione della paziente stessa.
L’aborto strumentale invece è l’alternativa all’interruzione farmacologica durante i primi 49 giorni di gravidanza, mentre l’unica possibilità tra il 50esimo e il 90esimo giorno, oltre al quale per legge non si può più praticare (tranne nei casi che vedremo successivamente). Anche in questo caso è prevista l’ospedalizzazione (generalmente per uno, massimo due giorni) e l’intervento consiste nella rimozione del prodotto di concepimento contenuto all’interno dell’utero per via chirurgica, in pochi minuti, in anestesia generale. La tecnica più diffusa per praticarlo è l’isterosuzione, che consiste nell’uso di una cannula (più o meno delle dimensioni di una penna) che una volta inserita nell’utero e collegata a una pompa a vuoto aspira l’embrione/feto e l’endometrio, lo strato più interno della mucosa uterina, lo stesso che si sfalda durante il flusso mestruale. Un secondo metodo, ormai poco praticato, è quello della cosiddetta dilatazione e revisione, dove la dilatazione si effettua sul collo dell’utero con l’aiuto di una sottilissima pinza e la revisione (anche detta raschiamento) coincide con la rimozione del materiale.
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