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Abortire, cosa significa secondo un punto di vista scientifico
Donna - Articoli
Scritto da Maria Rea     Lunedì 31 Marzo 2014 12:30    PDF Stampa E-mail
panicoLa pratica dell'aborto volontario viene svolta in buona parte del mondo, a discrezione della donna nei primi mesi della gestazione. Può essere motivata da ragioni di ordine medico, come la presenza di gravi malformazioni al feto, di pericolo per la salute della madre, nel caso in cui il feto sia frutto di una violenza carnale ai danni della madre o per altri motivi indipendenti dalla condizione di salute della madre o del feto: come la condizione economica, familiare o sociale.

Il termine aborto è legato alla religione, alla salute, all'opinione pubblica, alla legge, alla medicina, all'etica. In Italia continua la polemica sulla legge 194 e gli obiettori di coscienza. L'interruzione di gravidanza però è un diritto che corrisponde ad una pratica medica. Andiamo a vedere in cosa consiste secondo un punto di vista scientifico

disperazione
Innanzitutto va fatta una differenza tra aborto farmacologico (o medico) e aborto strumentale (o chirurgico).
 
L’interruzione farmacologica avviene attraverso la somministrazione di farmaci ed è possibile entro i primi 49 giorni (sei settimane e sei giorni) dal concepimento, quindi solo in uno stadio estremamente precoce della gravidanza. Questo perché nel periodo successivo il rischio di non riuscita e di insorgenza di complicazioni sarebbe superiore rispetto all’attesa. La paziente che sceglie di affrontare la via dell'interruzione farmacologica deve essere obbligatoriamente ricoverata per il tempo di trattamento e dopo alcuni accertamenti preliminari assume per bocca una prima pillola. Il suo principio attivo, il mifrepristone o RU486, blocca lo sviluppo embrionale e induce il distacco del feto dall’utero, determinando la fine della gravidanza. Nell’arco di alcune ore viene poi somministrato un secondo farmaco, contenente prostaglandine, he fa contrarre l’utero e consente il suo svuotamento in modo autonomo, senza bisogno di un accesso chirurgico.

L’interruzione farmacologica in Italia è possibile solo a partire dal 10 dicembre 2009. Non trattandosi di una pratica invasiva è generalmente preferibile (sempre nel limite dei 49 giorni) a qualsiasi intervento di tipo strumentale ed è di fatto la più frequente. La scelta del metodo a cui sottoporsi è tuttavia sempre a discrezione della paziente stessa.

L’aborto strumentale invece è l’alternativa all’interruzione farmacologica durante i primi 49 giorni di gravidanza, mentre l’unica possibilità tra il 50esimo e il 90esimo giorno, oltre al quale per legge non si può più praticare (tranne nei casi che vedremo successivamente). Anche in questo caso è prevista l’ospedalizzazione (generalmente per uno, massimo due giorni) e l’intervento consiste nella rimozione del prodotto di concepimento contenuto all’interno dell’utero per via chirurgica, in pochi minuti, in anestesia generale. La tecnica più diffusa per praticarlo è l’isterosuzione, che consiste nell’uso di una cannula (più o meno delle dimensioni di una penna) che una volta inserita nell’utero e collegata a una pompa a vuoto aspira l’embrione/feto e l’endometrio, lo strato più interno della mucosa uterina, lo stesso che si sfalda durante il flusso mestruale. Un secondo metodo, ormai poco praticato, è quello della cosiddetta dilatazione e revisione, dove la dilatazione si  effettua sul collo dell’utero con l’aiuto di una sottilissima pinza e la revisione (anche detta raschiamento) coincide con la rimozione del materiale.
 

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