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Lettera a mia madre... |
Donna - Articoli | |||
Scritto da Mauri Sabato 01 Marzo 2014 00:00 | |||
Oggi utilizzerò un mezzo non propriamente privato, per un uso non del tutto personale, ma neppure, forse, di interesse specificatamente pubblico. Oggi parlerò di una vicenda che è la storia di molti di noi. E’ la storia di una madre e di un figlio. E’ la mia storia con mia madre. Restringerò la vicenda agli anni più belli della mia infanzia, quando avevo un riferimento, una sicurezza.
Agli anni della gioventù dove avevo sempre una consigliera, una presenza, una confidente. C’era un’amica che severamente consigliava e dolcemente dava riparo. Che aiutava a rimarginare le ferite e sosteneva le debolezze. Qualcuno sempre pronto ad ascoltare, che mi difendeva o almeno ci provava, che cercava di farmi vivere la parte più bella della vita. Ho avuto accanto a me una donna, una mamma che in quarantaquattro anni non ha mai smesso di dirmi che ai figli, ogni giorno che passa, gli si vuole sempre più bene.
Questa persona è stata nella mia vita ed è nel mio cuore. La mia mamma, la nonna dei miei bambini è molta parte di me, di quello che sono e quello che sono diventato è buona parte merito suo. Mi sento confuso in lei. Fuso indissolubilmente, non con la genitrice, ma col suo modo di assaporare la vita, di manifestare la sua gioia, di esprimere dissenso, dolore. Non possiedo la sua pazienza nè la sua dolcezza. Sono forse più opportunista e razionale, ma se qualcosa di buono e dolce, di premuroso e affettuoso si manifesta in me è merito dei suoi insegnamenti e del suo modo di essere stata con me. Da bambino alla mattina avevo il rito del saluto della finestra. Quando mamma usciva di casa dovevo assolutamente salutarla dalla finestra, quale auspicio dell’inizio di una buona giornata; un saluto di un attimo, un ciao con la mano che mi infondeva un certo buon umore, un legame che continuava, malgrado la lontananza della giornata. Una mano che sporgeva, comunque, puntuale dal finestrino e che comunicava amore. Poi le giornate scorrevano, come vanno per tutti nell’età scolare, con gli alti e i bassi da studente.
Poi arrivano le amicizie, con entusiasmi e delusioni, derisioni o spavalderie e fortunose vittorie sportive. C’erano i nuovi riferimenti, i nuovi confidenti. L’attenzione a casa non mancava mai. Più discreta presente e consigliera, partecipe e solidale, pronta ad aiutare, anche se in disaccordo per non perdere mai il contatto. C’erano a primavera, le passeggiate al mare e i giochi sulla spiaggia, le corse in bicicletta fino alla pasticceria napoletana che faceva le ciambelle fritte ricoperte di zucchero. La mattina passavamo per il mercato ad assaporare i profumi e sapori, e le colazioni al bar di Testaccio. Cerano poi le domeniche trascorse sopra i libri a studiare materie mai amate, e la pazienza infinita ad inculcarmi concetti di algebra. Tante scocciature, questi figli. Questi figli che danno pensieri... si pensa sempre a loro, come oggi da padre vivo sensazioni che probabilmente viveva lei. Non come peso, non come dolore, ma con l’ansia di vedere, strappare un sorriso, sollievo con qualsiasi sacrificio. E poi quando si cresce, si mettono da parte i maglioncini fatti a mano, il bavaglino tenuto per ricordo e la copertina fatta all'uncinetto, come anche le prime scarpine… e tutto scorre inesorabilmente, ma sempre così affascinante. La maggiore età, l’idea di un’indipendenza, dell’esser grandi. Ma per fortuna non troppo. In casa certi ritmi non cambiano. Cambiano le carte da parati, vengono rifatti i bagni, ma noi siamo sempre la. Quel russo di papà notturno dalla stanza accanto, continua ad infondere tranquillità. Le quattro chiacchiere sul bordo del letto, in pigiama e vestaglia, non più per imparare nuove paroline come da piccolo, ma per chiedere, imparare le cose della vita, per ripetere ancora una volta la lezione, per confrontare quanto sentito con chi può consigliare, tutto è ancora presente, incontestabilmente forte. Sboccia l’amore, e una nuova visione fa largo nelle menti, nel corpo. Cambiano i rapporti in campo, o almeno per un po’ ci si illude di ciò. Lo spazio per i genitori rimane sempre di meno, presi come si è dalla propria vita. Anche un nuovo lavoro infonde sicurezza e temeraria autonomia, ci sono dei principi di contestazione. Ma l’affetto sopisce tutti i clamori e sapere essere sempre presente, altruisticamente, mettersi da parte o trovare più spazi per se stessi è una mossa dura da accettare, ma che fa parte del trascorrere del tempo. Una mamma amica, con cui andare di tanto in tanto, con lo scooter l’estate a mangiare fuori. Una mamma amica con cui comprare e far pagare i capi più costosi, e vedere il suo – stavolta – sorriso soddisfatto per aver soddisfatto un vizio. Un po' lo stesso sorriso riscoperto da nonna, quando la trovavo a giocare sul tappeto con mia figlia con in mano un gioco nuovo. La mamma all’altare è la più dolce e tenera. La sera del mio matrimonio ho pensato a lei che passava davanti al mio letto ed avrà respirato il mio odore sul cuscino. A me capita oggi di farlo con una sua maglietta che custodisco, che mi ricorda una vacanza, l’ultima trascorsa assieme. Nella chiesa, e al ricevimento, il suo sorriso era sereno, ma anche triste, il suo bambino era ora davvero un uomo, e non sarebbe mai più tornato alla sera – anche tardi con un cornetto – a dormire a casa da lei. Poi l’amore, quello che senti dentro all’anima lo riscopri e ti accorgi che ci puoi contare quando stai male. Quando passi dall’esser preso da tutto ciò che è intorno a te, a tutto ciò che riguarda te. Una mamma c’è. C’è la mattina quando l’ospedale apre, e riesce a stare anche quando non si può, fino a quando non se ne può non andare. C’è sempre e sempre scruta il tuo sguardo e ti infonde con dolcezza sicurezza, assicurandoti che andrà tutto bene. E con lei vicina è così che va. Una nuova piccola donna ora si è fatta spazio nella mia vita. Qualcuno che raccolto nelle mie braccia al suo primo vagito, ha inesorabilmente cambiato per sempre me e quello che sono e vorrò essere, se non con lei. Diventare padre mi ha fatto diventare forse un figlio migliore. Passare di la della barricata fa capire meglio paure, incertezze e tutti i timori dell’esser genitori. Fa apprezzare ancora di più quelli che sono ora nonni e che ci hanno permesso fino a ieri di esser spensierati giovani. E la nonna, ovviamente era là ad aspettare la nuova piccolina, colei che le avrebbe donato le gioie più grandi insieme al suo papà. Non si sono mai più separate. Il compito di nonna si è affiancato a quello di mamma con ancora maggiori premure e spazi ad aiutare e supportare, ad invadere anche... nessuno è perfetto, ma sempre per Amore, solo per Amore. E così eccoci qua. In fondo, meglio così. Siamo sempre noi, anzi anche con un batuffoletto in più, che dona allegria per tutti. E che gioia vederle insieme, complementari nei giochi e negli spazi. Una la prosecuzione dell’altra. Anche ora, dopo un anno che non ci sei più, mamma, non posso non scorgerti nei suoi sorrisi, nel suo candore e nella sua dolcezza. Non posso non abbracciarla senza pensare un po' anche a te. Pensare che vorrei dirti che vorrei poterci stare ancora assieme a te. Mi mancano da impazzire le nostre passeggiate in centro in bicicletta, le nostre chiacchierate la mattina, la nostra spesa, i tuoi minestroni che arrivavano già cotti alla sera insieme alle camice stirate. Poi è arrivato un piccoletto. La sera della sua nascita la nonna è rimasta con la sorellina e ovviamente ha dormito con lei - per la sua gioia – e con lei e la mamma hanno visto per la prima volta il fratellino. Poi la prima notte ce ne siamo andati a dormire a casa sua ed è stato stupendo tornare nel mio letto e rivedere le luci che filtravano dalla finestra di casa, e sentire il suo respiro dalla stanza accanto mentre abbracciavo mia figlia, pensando che l’indomani saremmo tornati dal nuovo cucciolo che in quel momento era sicuramente abbracciato alla sua giovane mamma. Le mamme sono uniche. Forti, generose, propense sempre e comunque a dare, senza aspettare nulla in cambio. Le donne sono così. Noi uomini, per quanto sensibili e volenterosi non potremmo mai – sarà genetica, sarà la nostra bestialità - raggiungere un grado così intimo, spontaneo e speciale , simbiotico con i propri figli. Io mi ritengo un discreto padre. Ho provato ad essere un buon figlio. Quando il 7 luglio 2012 abbiamo scoperto al Pronto soccorso che ciò che io pensavo potesse essere un’ischemia, era altro, una parte della mia vita si è conclusa. In quel corridoio abbracciati a piangere, ho capito cosa sarebbe successo. Non immaginavo però che tutto sarebbe stato così inesorabile e veloce. Anche in quell’occasione la preoccupazione di mia madre era per me, per non farmi soffrire. A me sembrava di vivere una situazione non reale, come se stessi assistendo alla vicenda di qualcun altro. Per un po’ tutto è continuato abbastanza normalmente. Cercavo di starle vicino il più possibile e con mia moglie, portavamo i bimbi da lei ogni volta fosse… necessario, più per la sensazione di non far perdere loro il contatto, la confidenza, la co-appartenenza, le coccole, il coinvolgimento di ciò che facevano senza di lei. Lei, avrebbe dovuto passare quell’estate ancora a giocare con loro sulla spiaggia. L’ha passata dentro un ospedale, con l’amore smisurato della sorella che non l’ha mai lasciata, del marito, e mia. Non è servito a nulla. Un male maledetto e inesorabile ha debilitato tutta quella forza che aveva fatto da propulsione nella mia vita, che aveva aiutato mio padre a superare una malattia, che aveva aiutato me e mia moglie a crescere due bambini, che la faceva correre dalla sua madre novantenne, e le faceva fare, la spesa per due famiglie, la moglie e la nonna. Avrebbe dovuto poter fare la nonna ancora per tanto tempo. Avremmo dovuto poter passare ancora tanti inverni piovosi ed estati calde al mare e in montagna. Avremmo dovuto vedere tante recite dei nipoti e spegnere le candeline. Avremmo dovuto poter parlare ancora. La sua voce. La cosa che mi manca di più. Il tono delle parole, e come solo lei si rivolgeva sempre a me “Amore”.
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