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Infertilità da stress o Stress da infertilità?
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Scritto da Eva Forte     Giovedì 14 Marzo 2013 14:05    PDF Stampa E-mail
concepimento logoNella letteratura scientifica vi è oggi un generale consenso nel ritenere che l’infertilità e i trattamenti a cui sono sottoposte le pazienti,  soprattutto la PMA, siano associati ad un aumento dei livelli di ansia e depressione.  Nonostante le tecniche di Riproduzione Assistita siano utilizzate con successo da circa 35 anni ed attualmente, nel mondo, ne vengano effettuati ogni anno centinaia di migliaia di cicli, ancora poco è stato studiato sui possibili meccanismi d’azione biologici dello stress sulla fertilità della donna e, al contempo, sui riflessi che lo stress psicologico ha nelle pazienti che si sottopongono a queste tecniche. 

Questi alcuni degli spunti affrontati oggi a Roma nel corso del Convegno “Infertilità da stress – Stress da infertilità”, organizzato dalla Dottoressa Maria Giuseppina Picconeri, ginecologa specialista in medicina della riproduzione. L’incontro ha voluto far chiarezza sulle numerose incertezze e i frequenti luoghi comuni sulla correlazione tra il male tipico della società di oggi, lo stress, e la salute riproduttiva della donna.  A fornire un quadro dal quale emergono le sfide psicologiche a cui sono sottoposte le donne, e a fornire agli esperti una maggiore comprensione dei fattori impattanti sulla qualità di vita delle pazienti e sugli esiti dei trattamenti stessi, è ora uno studio pan europeo condotto in collaborazione, tra gli altri, con la Harvard Medical School di Boston IVF, USA. Vediamo insieme i risultati.

infertilità maschile, un gene difettoso la causa
All’indagine ha preso parte un totale di 445 donne (di cui 160 attualmente in trattamento; 285 non in trattamento, ma alla ricerca di una gravidanza da almeno 24 mesi) di età compresa tra i 18 e i 44 anni (età media 35 anni) provenienti da Italia (112), Spagna (114), Germania (111) e Francia (108).

Le  partecipanti all’indagineIl 50% delle donne infertili e non in trattamento, dichiara di sentirsi vulnerabile e sopraffatta a causa della diagnosi, ma la percentuale di donne infertili, e attualmente in terapia, che dichiara di provare le medesime emozioni negative sale al 58%. A provare la sensazione di perdita del controllo è il 30% delle donne infertili e, anche in questo caso, la percentuale di donne in trattamento a provare la medesima emozione sale al 35%.

D’altro canto, il 76% delle donne infertili, ed in cura, dichiara di sentirsi speranzosa ed il 52% cautamente ottimistica. Le donne infertili, e non in cura, a sentirsi ottimistiche e speranzose rappresentano, invece, il 21%.  Dall’indagine emerge, inoltre, che tra gli ostacoli emotivi che comportano la rinuncia ad intraprendere una terapia, a prevalere è la paura del fallimento vissuta dal 72% delle donne; a questo sentimento si aggiungono il timore di gravidanze multiple (26%), il timore dell’uso dei farmaci e dei loro eventuali effetti collaterali (57%), la necessità di assentarsi dal lavoro per sottoporsi al trattamento (34%) ed, infine, la difficoltà di sostenerne i costi (53%). 

Un altro importante aspetto osservato durante il Convegno, riguarda le cause per l’abbandono della terapia, che possono essere varie: una gravidanza spontanea (circa 10%), problemi di coppia (circa il 14%), su consiglio del medico (circa il 18%). Anche qui a prevalere è però l’enorme stress psicologico vissuto dalle coppie durante le fasi del trattamento, che porta 1 coppia su 4 (25%) ad abbandonare la terapia proprio a causa della sopraggiunta incapacità di gestire il livello di stress ad essa correlato.( Brandeset al 2009).  “Questi elementi, soprattutto se osservati in combinazione con il dato (Domar et al. Hum. Reprod. 2012) secondo il quale il 62% delle donne rifiuta le diverse strategie che mirano alla diminuzione dello stress (meditazione/yoga, consulenze psicologiche, gruppi di sostegno, agopuntura) – ha commentato la dott.ssa Maria Giuseppina Picconeri, promotrice dell’evento - dovrebbe far riflettere noi medici, poiché riuscire ad andare incontro alle esigenze psicologiche dei pazienti migliorerebbe notevolmente i livelli di assistenza e, al contempo, contribuirebbe alla diminuzione del fenomeno del cosiddetto drop out (abbandono)”. 

Se dal punto di vista emotivo, la correlazione tra infertilità e stress, è evidente, è possibile individuare anche un preciso meccanismo di azione dello stress sul sistema riproduttivo e quindi sulla fertilità della donna? Lo stress si può definire come una reazione intensa a una serie di stimoli esterni che mettono in moto risposte fisiologiche e psicologiche di natura adattativa. Se gli sforzi del soggetto per adattarsi allo stress falliscono, perché lo stress supera la capacità di risposta, l'individuo diventa più vulnerabile ai disturbi psichici o somatici o ad entrambi.

È oggi dimostrato che lo stress, attivando l'asse ipotalamo - ipofisi – surrene - vale a dire il sistema di controlli reciproci che lega questi tre organi, è in grado di  influenzare negativamente anche la funzione riproduttiva – ha dichiarato  il professor Giuseppe Bersani, Psichiatra e Professore Aggregato nell’ambito del Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico Chirurgiche dell’Università di Roma “La Sapienza” - Gli eventi stressanti di diversa natura (fisici, metabolici e psicologici) agiscono attraverso l'attivazione di neuromodulatori (molecole che regolano la funzione nervosa) sull'asse che mette in relazione cervello, ipofisi (ipotalamo-ipofisi) e ovaio, con il risultato di una diminuzione della secrezione di ormone luteotropo (LH) che regola l’ovulazione nella donna”. 

Alla luce di quanto emerso – ha aggiunto la dott.ssa Picconeri – è di fondamentale importanza studiare e comprendere i diversi meccanismi di difesa che le pazienti in trattamento adottano per combattere lo stress psicologico e considerare che a differenti modalità di risposta allo stress, possono corrispondere diversi effetti sulle possibilità di gravidanza nella PMA. Il trattamento delle pazienti infertili - ha concluso l’esperta – deve quindi essere personalizzato e considerare il vissuto di ogni paziente allo scopo di porre al centro dell’intervento medico, non la patologia, bensì la persona e la coppia”.
 

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