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Donna anoressica vuole lasciarsi morire, ma il giudice decide per l'alimentazione forzata |
Donna - Articoli | |||
Scritto da Angela Messina
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![]() Il caso è finito in tribunale quando il mese scorso la donna, ridotta a un passo dalla morte, continuava a rifiutare di essere alimentata. «Va nutrita a forza», sostiene ora il giudice Peter Jackson della Court of Protection, poiché afferma: «Un giorno questa donna potrebbe scoprire di essere una persona speciale, la cui vita vale la pena di essere vissuta». ![]() Jackson ammette di trovarsi di fronte al caso più difficile della sua carriera. Anche se sottoposta ad alimentazione forzata, per la donna le possibilità di salvarsi non supererebbero il 20%, a fronte di terapie invasive che fra l'altro dovrebbero durare almeno un anno. La giovane donna ha alle spalle una lunga storia di sofferenza che comincia all'età di 4 anni con abusi sessuali proseguiti fino agli 11 anni all'insaputa dei genitori. A 12-13 anni la ragazza è entrata nel tunnel della bulimia, iniziando a mangiare in modo compulsivo per poi indursi il vomito. Contemporaneamente ha cominciato ad abusare di alcolici. A 15 anni è entrata in cura da un esperto di disturbi alimentari dell'adolescenza. Nonostante tutto non ha perso l'ambizione di diventare un medico e ha iniziato a studiare per laurearsi, ma dopo una delusione d'amore ha ricominciato a bere, ha lasciato l'università e dal 2006 al 2011 ha trascorso più della metà della sua vita passando da un centro all'altro specializzato in disturbi dell'alimentazione e dipendenza dall'alcol. Anche i genitori della ragazza, per quanto possa sembrare sconvolgente, difendono il suo diritto a morire, poichè capiscono che la loro figlia ha perso ogni speranza di raggiungere i traguardi che si era prefissata. La decisione del giudice divide società e politica. «Ha preso una decisione saggia e coraggiosa», sostiene Peter Saunders, direttore della campagna pro-vita Care Not Killing. «È una sentenza molto controversa», ritiene invece Evan Harris, ex parlamentare liberal democratico e membro del comitato etico della British Medical Association: «La nutrizione forzata comporterebbe immobilizzazione e sedazione, implicazioni molto pesanti per un paziente che riufiuta ogni cura, e in più senza la certezza di un successo. Si imporrebbe tutto questo a una persona che ha tutti gli strumenti per rifiutarlo».
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