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Il linguaggio dei bambini |
Bambini - Articoli |
Scritto da Maria Rea Giovedì 27 Marzo 2014 18:38 |
La comunicazione non avviene solo attraverso la parola. Pianti, sorrisi, gesti rappresentano infatti il linguaggio del bambino. Prima di imparare a parlare infatti i bimbi comunicano con i genitori in molti modi non verbali, anzi, il bebè comunica con la sua mamma sin dalla gravidanza.
Il feto, nel caldo del suo ambiente protetto, sente il cuore della madre e secondo le evidenze scientifiche reagisce alla sua voce, così come riesce a sentire alcuni suoni più forti e vibrazioni più intense.
Nel "periodo pre-linguistico" il neonato deve comunicare i propri bisogni primari: cibo, coccole e pulizia. E lo fa con il sorriso, lo fa con suoni, vocalizzi e lallazioni e anche con la gestualità comunicativa. Si tratta di una comunicazione fortemente emotiva, amplificata da affetto e cura: sorridendo, facendo i versi, sgambettando, cercando il contatto visivo il bimbo comunica con chi si prende cura di lui. Se non trova riscontro piange. E una madre in genere è in grado fin da subito di riconoscere se quello è un pianto di fame, dolore, capriccio, disagio. Il sorriso sociale è tra le prime forme di comunicazione che l’essere umano mette in atto spontaneamente e che riconosce come attenzione e momento piacevole. Il bimbo comincia ad usarlo già dopo il primo mese di vita quando vede – ma non riconosce ancora – un viso. È a partire dai sei mesi che il sorriso viene impiegato come vero e proprio mezzo di comunicazione con cui il bambino distingue volti noti e non.
Il pianto, invece, è la prima forma di comunicazione in assoluto che l’essere umano conosce e mette in atto come allarme. Per i neonati e in generale nei primi mesi di vita è lo strumento per cercare il contatto con la madre e con gli altri. È il primo modo di esprimere le emozioni, e di per sé non è quindi negativo.
Il passaggio dalla fase pre-intenzionale a quella intenzionale è una questione di consapevolezza della comunicazione. Inizialmente i messaggi inviati dal bimbo sono segnali per chi lo circonda ma non ancora per la consapevolezza del bambino stesso. Nella seconda fase invece il bambino comunica, ad esempio indicando un oggetto, soprattutto dai nove mesi in avanti, con l’obiettivo di ottenere qualcosa e con la prima comprensione dei rapporti di causa-effetto. Contesti sereni e accoglienza affettiva costituiscono il miglior antidoto a qualsiasi forma di disfluenza nella comunicazione dei piccoli, e ambienti stimolanti e ricchi di parole e interazione permetteranno ai bambini, in particolare nei primi tre anni di vita, di avere elementi di crescita, cominciare a isolare le parole per poi riprodurle e sviluppare l’attività cerebrale.
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