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Esiste una precocissima capacità del bambino a relazionarsi con la madre |
Bambini - Articoli |
Scritto da Letizia Perugia Lunedì 10 Febbraio 2014 09:08 |
Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista statunitense ed esponente di spicco della Infant Research, ha dimostrato in modo sperimentale, con accurate osservazioni e registrazioni, che esiste una precocissima capacità del bambino a relazionarsi con la madre.
Nella nostra specie, madre e piccolo comunicano attraverso gli sguardi, i gesti, i baci, le vocalizzazioni, i sorrisi e le risatine: questi comportamenti hanno una natura “duale”, bidirezionale, rappresentano dei "dialoghi sociali", precocemente conformi alle regole dell’alternanza dei turni.
Se un bambino emette un gridolino di piacere, la madre può rispondere intonando la propria voce con quella del piccolo o dondolandolo delicatamente.
La madre, in generale il caregiver (colui che si prende cura) ha un ruolo cruciale perchè favorisce il coinvolgimento del neonato nello scambio comunicativo, identificandosi empaticamente con i suoi stati d’animo e le sue motivazioni, e offrendogli modalità comunicative adattate con variazioni ritmiche e prosodiche.
Una forma particolare di lingua, "il maternese" o "mammese" è usata dalle donne in modo naturale quando si rivolgono ai neonati. Le variazioni ritmiche e prosodiche, che servono anche ad amplificare le emozioni e l’esperienza vissuta dal bambino, sono canali privilegiati di trasmissione delle emozioni.
Questo passaggio di espressioni emotive dalla madre al neonato e viceversa definisce uno stretto “contatto mentale” tra i due, i momenti finalizzati ad entrare in sintonia con il proprio figlio (Stern definisce questo processo come "attunement" cioè sintonizzazione) danno al bambino la sensazione profonda e rassicurante di essere in rapporto con la madre, che le sue emozioni sono riconosciute, accettate e ricambiate.
Stern è autore del noto saggio "Il mondo interpersonale del bambino" di Bollati Boringhieri e crede fermamente che le basi della futura vita emotiva vengano poste attraverso queste esperienze di comunicazione e condivisione tra madre e bimbo.
Le difficoltà emotive e relazionali del caregiver (ad esempio una madre depressa) possono interferire in maniera negativa sulla qualità delle prime esperienze intersoggettive, con possibili ripercussioni sulla crescita psicologica del bambino.
L’utilizzo del "maternese" potrebbe rappresentare un contesto sociale di facilitazione per l’apprendimento della lingua da parte del bambino.
L’antropologo americano Dean Falk ha proposto l’idea che il linguaggio possa essere derivato dal canto delle madri ai propri figli.
Il "maternese" è di fatto un “linguaggio" musicale, con una ritmica semplice, un’intonazione cantilenante intenzionalmente esagerata che può salire e scendere di due intere ottave (che fa da contrappunto alle fasi dell’esperienza intersoggettiva vissuta in quel momento dai due partner) ed un timbro più alto di quello che si usa normalmente in una conversazione tra due persone.
Questo ritmo cantilenante cattura l’attenzione del bambino, lo calma e lo affascina, ne stimola l’espressione del sorriso, ma verosimilmente, questo linguaggio assolve ad una funzione più complessa: la studiosa Marilee Monnot, professore associato presso il Dipartimento di Neurologia dell’Università di Oklahoma, ha esposto interessanti risultati delle sue ricerche sugli effetti del “maternese" nella sua dissertazione di dottorato, svoltosi all'Università di Cambridge.
La Monnot ha osservato cinquantadue madri e i rispettivi neonati durante il primo anno di vita, ha messo a confronto il gruppo di madri che avevano fatto un uso continuo e costante del "maternese" con il gruppo di madri che lo avevano utilizzato di meno, è emerso che il primo gruppo aveva bambini che crescevano più rapidamente e raggiungevano in tempi più rapidi le tappe fondamentali dello sviluppo rispetto ai bambini appartenenti alle madri del secondo gruppo.
Le parole, in questa "lingua", non sono strettamente necessarie, si tratta solo di una sillabazione che scivola insensibilmente in una filastrocca, del tipo Ambarabà, ciccì, coccò.
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