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Le "ragazzine doccia": minorenni che si prostituiscono nei bagni della scuola
Bambini - Articoli
Scritto da Letizia Perugia     Martedì 30 Novembre 1999 01:00    PDF Stampa E-mail
adolescenti1Sono chiamate le "ragazze doccia" (così come ci si fa la doccia tutti i giorni, loro quotidianamente fanno sesso), sono delle adolescenti, in genere di famiglie benestanti, che si prostituiscono nei bagni delle scuole in cambio di oggetti: questo fenomeno è stato studiato dall’equipe del prof. Luca Bernardo, direttore del reparto di pediatria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
 
Secondo i dati del dossier, le ragazzine hanno tra i 14 e i 16 anni, vengono da scuole private e per ora sono state individuate otto ragazze, ma il fenomeno è molto più esteso. Il caso delle "ragazze doccia" è stato rivelato dal "Coriere della Sera" e coinvolgerebbe ragazze dai 14 ai 16 anni, che scelgono di prostituirsi in cambio di regali.
 
Ragazze Prostituzione

I clienti vengono scelti in base a ciò che possono dare in cambio alle ragazze, durante le lezioni delle prime ore sui telefonini gira il menù con prestazioni, richieste e orari per gli appuntamenti nei bagni, dove avvengono i rapporti sessuali. 
 
Queste ragazze offrono le loro prestazioni anche a più persone, per loro è una specie di gioco, pericoloso, nel quale pensano di dominare e irretire i loro clienti. 
 
Finora gli esperi hanno accertato otto casi, sette di ragazze di “famiglia bene” del centro di Milano e una invece proveniente dalla periferia. 
 
Le scuole coinvolte in questo giro sono in maggioranza istituti privati e nessuna di queste minorenni ha parlato subito e liberamente della cosa, la confessione è arrivata sempre all’interno di un percorso di assistenza relativo ad altri tipi di problematiche come la droga o il bullismo. 
 
Il professor Bernardo ha realizzato un reparto pediatrico di eccellenza costruendo un ambiente colorato e sereno con vari programmi di assistenza ai ragazzi e stà approfondendo il fenomeno. 
 
Il sospetto è che con il tempo la pratica si sia addirittura evoluta: in questi ambienti sicuramente girano anche soldi, sembra che ora ci siano dei ragazzi, dai diciassette anni in su che fanno da procacciatori di clienti e il timore è che nel giro, già molto preoccupante, stiano entrando anche dei clienti adulti.
 
Dagli interrogatori delle due squillo adolescenti di Roma che hanno fatto emergere il caso, viene alla luce che i cinque clienti adulti arrestati erano al corrente dell'età delle loro amanti. Inoltre le madri sapevano o "avevano intuito".
 
Dopo il caso delle due baby-prostitute romane e l'allerta lanciato dal vescovo ausiliare de L'Aquila Giovanni D'Ercole su un analogo fenomeno in Abruzzo, il campanello d'allarme suona anche in Lombardia. 
 
Sono adolescenti in cerca di popolarità, che hanno usato il corpo per “irretire” coetanei, offrendo prestazioni sessuali in cambio di ricariche del cellulare, telefonini e altri beni materiali. 
 
Una realtà che hanno vissuto 8 ragazzine milanesi, 7 delle quali di famiglie benestanti e iscritte a scuole private, nel 2009, e che ora ne sono venute fuori, grazie al percorso di riabilitazione intrapreso presso l’ospedale Fatebenefratelli di Milano con l’equipe di Luca Bernardo, direttore del reparto di Pediatria. 
 
Sono diverse dalle baby squillo dei Parioli di Roma, spiega Bernardo, ma se non fossero entrate in questo percorso di recupero, è probabile che sarebbero magari finite a prostituirsi in cambio di denaro, con adulti.
 
Secondo Bernardo, un genitore se è attento, non riesce a non cogliere i segnali d’allarme, come vedere che la propria figlia che cambia giro di amici, frequenta persone molto più grandi e ha disponibilità di denaro.
 
Nel caso delle ragazze milanesi si trattava di famiglie cosiddette per bene, ma difficili all’interno, c'era di solitudine, noia, rabbia e il corpo percepito come un disvalore, usato per divertirsi e ottenere popolarità.
 
Poi c’era la voglia di denaro e avere le cose migliori, come più cellulari, proprio per essere popolari, non pensavano di far del male né avevano rimorsi, ma poi hanno capito che sbagliavano. 
 
 

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