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Sindrome di Down: una mamma ricercatrice scopre la molecola che fa "riattivare" i mitocondri
Bambini - Articoli
Scritto da Tatta Bis     Martedì 26 Febbraio 2013 09:17    PDF Stampa E-mail
donna medicoLa scoperta nasce dall'ostinazione di una mamma, che è una biochimica e ragiona come una scienziata e da suo figlio Enrico, nato nel 2004 con sindrome di Down. La donna si chiama Rosa Anna Vacca ed è una ricercatrice dell'Istituto di biomembrane e bioenergetica del Cnr di Bari. Lei decide di studiare e di immergersi con anima e cuore nei meccanismi molecolari della malattia, di cui si sa molto poco.

Lo fa insieme alla collega Daniela Valenti, in collaborazione con altri ricercatori del suo istituto e dell'Università di Pisa, Napoli e Bari, scopre che una molecola notissima, della famiglia dei polifenoli (contenuta nel tè verde) l'epigallocatechina-3-gallato (Egcg), riesce a riattivare alcune funzioni dei mitocondri. Questi sono le centrali energetiche del nostro organismo e nelle persone Down sono meno efficienti.

mamma con bimbo down
Lo studio è stato effettuato in vitro su cellule di soggetti Down, bambini e adulti, è stato pubblicato da poco su "Biochimica et Biophysica Acta-Molecular Basis of Disease" e apre la strada a possibili nuovi interventi terapeutici. La scoperta nasce dall'intuizione che alcune manifestazioni cliniche come ipotonia (riduzione del tono muscolare e dello stato normale di contrazione dei muscoli), cardiomiopatie (malattia del miocardio spesso genetica, che hanno come esito lo scompenso cardiaco o la morte improvvisa del paziente) e stress ossidativo (condizione patologica che causa rottura dell'equilibrio fisiologico fra la produzione e l'eliminazione, da parte dei sistemi di difesa antiossidanti, di specie chimiche ossidanti) riscontrabili in molti soggetti Down, siano legate al cattivo funzionamento dei mitocondri.

Questi hanno il compito di produrre l'energia necessaria alla vita delle cellule. Nelle persone Down questa centrale energetica ha una funzionalità ridotta e l'organismo si ammala precocemente di patologie legate all'invecchiamento (neurodegenerazione e morbo di Alzheimer).

La mamma di Enrico studia i mitocondri da oltre dieci anni e decide che è quella la strada da seguire. Comincia, con la sua collega, l'analisi dei meccanismi molecolari attraverso i quali una alterazione genetica, come la trisomia del cromosoma 21, produce il quadro clinico della malattia.

La ricercatrice dichiara di lavorare al progetto da quasi sei anni e racconta di aver cominciato subito dopo la nascita del figlio perché non riusciva ad accettare l'idea che non si potesse far nulla per garantirgli una migliore qualità della vita.

Il primo passo è stato analizzare il legame tra trisomia 21 e quadro clinico delle persone Down. La sua ipotesi fu quella di un'alterazione dei mitocondri. Le era chiaro che soltanto attraverso lo studio dei meccanismi molecolari alla base della patogenesi della malattia si poteva progettare una strategia terapeutica. ha pubblicato due importanti studi su Biochemical Journal, nel 2010 e poi nel 2011 che sono stati dei piccoli passi verso la scoperta di oggi.

Nei mitocondri delle persone Down, spiega Vacca, alcune vie di segnalazione cellulare sono alterate e, attraverso un meccanismo a cascata, è compromessa la funzionalità dei mitocondri stessi.

La ricerca ha mostrato che somministrando l'epigallocatechina-3gallato a cellule isolate da pazienti e messe in coltura, già dopo 6 ore, e per circa altre 72, si riattiva la capacità dei mitocondri di produrre energia.

Inoltre si riducono anche i livelli di radicali liberi, e la cellula migliora anche dal punto di vista ossidativo. Questa molecola, oltre ad agire sui mitocondri, inibisce una proteina che nel cromosoma 21 è espressa in modo eccessivo ed è causa di ridotta capacità neuronale.

Somministrando questa molecola, isolata e purificata e non ancora ampiamente commercializzata, si può ottenere un miglioramento delle capacità cognitive anche perché essendo molto piccola, riesce ad attraversare la barriera ematoencefalica.

Adesso esiste la speranza è che si possa passare agli studi sull'uomo perchè potrebbe essere vicino il momento di uno studio pilota, anche perché la molecola è nota, è sicura e si conoscono le sue proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche.

La ricercatrice non ha ceduto alla tentazione di usare la molecola su suo figlio, né ha voluto analizzare le sue cellule. Perché il mix di mamma e scienziata è imbattibile, ma, tutto sommato, è meglio tener separate le due cose.

 
 

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