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Amniocentesi e villocentesi, invasive ma precise |
Gravidanza - Articoli |
Scritto da Maria Rea Martedì 01 Aprile 2014 19:30 |
Una donna incinta ad un'indagine prenatale chiede due cose: che non sia rischiosa e il risultato sia certo. La certezza però la assicurano solo degli esami invasivi, i quali hanno un rischio di aborto che va dallo 0,3% in mani esperte fino all’1%. Per questo, da anni, lo sforzo della scienza è di mettere a punto un test non invasivo. Il più promettente, il Nipt (non invasive prenatal test) si basa sulla ricerca del Dna fetale nel sangue materno, ma i risultati sono considerati ancora parziali dalle maggiori società scientifiche, che ne sconsigliano l’utilizzo come test generalizzato.
Come sostiene Claudio Giorlandino, segretario Si-Dip e direttore sanitario di una realtà privata: "Il test sul Dna fetale si fa da tempo, noi stessi lo offriamo, pur senza consigliarlo. Perché ha ancora troppi errori, visto che il Dna esaminato è quello placentare, e i risultati non sono certi. C’è anche un rischio etico: nonostante il test dia molti falsi positivi, può accadere che una donna con risultato positivo per trisomia 21 decida di abortire senza confermare la diagnosi con amniocentesi, come previsto dalla consulenza genetica. E poi, che senso ha un esame che individua al massimo le trisomie, quando amnio e villocentesi identificano migliaia di patologie genetiche e cromosomiche?"
Giovanni Monni, responsabile diagnosi prenatale e preimpianto dell’ospedale Microcitemico di Cagliari, replica: "Già con il B test, ovvero translucenza nucale e dosaggio di alcuni ormoni nel sangue materno, c’è un’attendibilità di oltre il 90% nell'individuazione di cromosomopatie. Con l’amniocentesi a 16 settimane o la villocentesi a 11, in mani esperte, si ha la certezza assoluta e un rischio bassissimo di aborto, una donna su 300, almeno nei centri che, come il nostro, fanno oltre 4000 esami all’anno. Il test sul Dna fetale nel sangue materno, inoltre, ha ancora troppi limiti: se il risultato è positivo va comunque effettuato un esame invasivo per la conferma e poi, mentre ha un’attendibilità elevata, anche del 98%, per la trisomia 21, per altre trisomie, come 13 e 18, la sensibilità scende all’80-90%. Insomma, allo stato attuale delle conoscenze non è un esame alternativo ed è invece un bel business. Ne è prova che non è consigliato come test diagnostico da nessuna società scientifica internazionale". Più ottimista il genetista Antonio Novelli, coordinatore nazionale citogenetisti Sigu e responsabile Citogenetica dell’istituto Css Mende, che spiega: "Il Nipt ha mostrato grande precisione, il 99% nel valutare il rischio di trisomia 21 e poco meno (98) per la trisomia 18. Tale imprecisione è dovuta al fatto che il Dna di origine placentare espone il test a rischi di falso positivo e negativo per discordanze feto placentari. Il test èvalidato da società scientifiche internazionali e al meeting Acmg americano di questi giorni è stato dimostrato che falsi positivi e negativi sono inferiori che nel Bi test. Il test però non è diagnostico poiché è basato su eleborazione matematica e deve essere offerto con criterio, utilmente affiancato dall’ecografia, e dopo una consulenza genetica che ne esplicita limiti e potenzialità".
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