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Alzheimer, è stata scoperta la proteina che evita la perdita di memoria
Benessere - Articoli
Scritto da Letizia Perugia     Lunedì 21 Novembre 2016 10:41    PDF Stampa E-mail
AlzheimerL'Alzheimer è la più comune forma di demenza senile, una patologia che, malgrado i passi avanti compiuti dalla ricerca continua a colpire, soprattutto gli over 65, e in prevalenza le donne. 
 
Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono quasi 48 milioni i malati di Alzheimer, di cui 1 milione e 200mila solo in Italia, le stime degli esperti non sono rosee per il futuro, complice l’invecchiamento progressivo della popolazione.
 
 
La scoperta di un team della Northwestern University (Usa) che ha esaminato il cervello di 8 over 90 particolari, questi pazienti erano stati lucidi fino alla morte e per quanto riguarda la memoria e le capacità cognitive avevano punteggi da 50enni. 
 
Studiando i tessuti del cervello umano è stata individuata la proteina kinasi p38y, che si perde man mano che l'Alzheimer progredisce. 
 
Due delle caratteristiche della malattia sono la presenza di placche di proteina beta-amiloide e grovigli di proteina tau nel cervello, il loro accumulo porta alla morte cellulare, atrofia del cervello e perdita di memoria. 
 
C'è uno stadio nel processo della formazione di questi grovigli che finora era stato male interpretato: prima si pensava che la proteina beta-amiloide modificasse la proteina tau, con il processo di fosforilazione, che porta al suo accumulo in questi grovigli, conducendo poi alla morte cellulare e all'Alzheimer.
 
Il team ha studiato due regioni del cervello, l'ippocampo, che è coinvolto nella memoria, e la corteccia prefrontale, che è la chiave per la cognizione. 
 
Quando il gruppo di ricercatori ha contato i neuroni nei campioni di cervello, ha osservato che ne erano presenti molti di più di quanti solitamente si trovano nelle persone morte con Alzheimer. 
 
Questo è sorprendente, perché si ritiene che le placche siano tossiche e portino proprio alla perdita di neuroni nella malattia, il più vecchio dei pazienti analizzati aveva l'intera gamma delle condizioni che determinano la patologia, come spiega Aras Rezvanian, scienziato dell’ateneo statunitense che ha presentato le conclusioni del lavoro condotto con i colleghi a un meeting annuale della Society for Neuroscience, nei giorni scorsi. 
 
Questa scoperta, suggerisce che ci sono fattori sconosciuti che proteggono alcuni anziani dalle placche e dai grovigli tipici del morbo e fra le ipotesi considerate dagli esperti c’è quella che i super anziani avessero più neuroni già in partenza. 
 
Potrebbero aver perso capacità cognitive e neuroni, ma partendo da alti livelli, quindi con un effetto minore, i risultati confermerebbero una teoria che si sta facendo sempre più strada: le placche e grovigli potrebbero non essere una causa diretta del morbo di Alzheimer.
 
Il passo successivo sarà ora la caccia al fattore protettivo che si nasconde dietro il mistero dei super anziani. Secondo l’Alzheimer’s disease international (Adi), federazione internazionale legata all'Oms che riunisce le associazioni che si occupano di questa patologia neurodegenerativa, nel 2050 le previsioni sono di un’impennata, con più di 100 milioni di malati.
 
La maggior parte delle ricerche è focalizzata sulla proteina beta-amiloide come bersaglio, attualmente esistono trattamenti che diminuiscono i livelli di questa proteina, ma non hanno molta efficacia. 
 
 

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