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Un calo dell'udito accelera la demenza senile
Benessere - Articoli
Scritto da Letizia Perugia     Martedì 08 Ottobre 2013 14:32    PDF Stampa E-mail
Anziani feliciSette milioni di italiani e 590 milioni di persone nel mondo convivono con un deficit dell’udito, secondo nuovi studi, vanno incontro a un rischio maggiore di sviluppare forme di demenza
 
Per ogni peggioramento dell’udito di 10 decibel si registra una crescita del rischio di demenza di circa 3 volte. Il sentire sempre di meno, cioè l'ipoacusia e la demenza si moltiplicheranno nei prossimi 30 anni, nel 2050 rischieremo di arrivare tutti a 100 anni, ma senza accorgercene per il forte legame che esiste tra udito e cervello, tra sordità e decadimento cognitivo. 
 
Ipoacusia

Gli esperti della Consensus Paper “Sentire bene per allenare la mente”, promosso da Amplifon, hanno spiegato in un dibattito condiviso tra vari specialisti, i dati di recenti studi e avvertono che il decadimento cognitivo può aumentare fino a 5 volte nei casi più gravi di sordità. La demenza colpisce oggi 36 milioni di persone nel mondo e in un caso su tre sembra essere associata ad ipoacusia.

Anche il decadimento cognitivo sembra poter essere responsabile di una progressiva perdita uditiva e la ragione è sconosciuta. Sono state avanzate però delle ipotesi: la più affascinante dal punto di vista della ricerca scientifica  è quella che collega udito e cervello. Gli stessi meccanismi delle malattie neurodegenerative, quali quelli della malattia di Alzheimer, potrebbero essere alla base di alterazioni centrali del sistema uditivo.

Un’altra ipotesi sostiene che l'ipoacusia comporti un maggiore sfruttamento delle risorse cognitive per decodificare i suoni in informazioni utili, rendendo così la persona più vulnerabile alla demenza. Altri studiosi si soffermano sul rischio di isolamento sociale, che rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per l'insorgere della demenza ed è strettamente associato all'ipoacusia, in quanto il deficit uditivo comporta una diminuzione del desiderio di uscire e di farsi coinvolgere in conversazioni.

Questo isolamentopuò affievolire la vitalità di mente e cervello, oggi sappiamo che tra ipoacusia e demenza esiste una relazione bidirezionale, lo spiega Alessandro Martini, neuroscienziato e otorino dell’università di Padova, e che un grave deficit uditivo è in grado di aumentare di ben 5 volte, in maniera indipendente rispetto ad altri fattori, il rischio di sviluppare demenza.

Dobbiamo intervenire tempestivamente sul danno uditivo, con test audiometrici e i giusti apparecchi acustici, in modo da contrastare il più possibile il decadimento della funzione uditiva. Rallentare anche di un solo anno l’evoluzione del quadro clinico, porterebbe a una riduzione del 10% del tasso di prevalenza della demenza nella popolazione generale, con un notevole risparmio di risorse umane ed economiche.

L’allungamento della vita media è un dato di fatto: chiunque viva oggi continua a guadagnare 3-4 mesi di aspettativa di vita ogni anno che passa ed è molto probabile che i nuovi nati arrivino a festeggiare i 100 anni. Dobbiamo però prendere atto di come il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione sia correlato alla demenza e al deficit dell’udito, un po’ come dopo i 50-60 anni si è tutti o quasi colpiti dalla presbiopia.
 
Esiste anche un ulteriore problema culturale: agli italiani non piacciono gli apparecchi acustici, perché “invecchiano”. Nel nostro Paese le protesi uditive sono fortemente sotto-utilizzate. L’età media degli italiani che li usano è di 74 anni contro una media europea di 60,5 anni. Mettere un apparecchio ai primi segni di decadimento uditivo può evitare, o allontanare nel tempo, una possibile demenza. 
 
 

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